L'alluce misterioso
Guardai l'orologio e il quadro degli orari, mancava
ancora mezz'ora all'arrivo dell'intercity da Torino.
Ero giunto alla stazione di S. Lucia con molto anticipo
perché mi sentivo veramente in ansia. Volevo
avere il tempo di prepararmi, diciamo così,
spiritualmente, per dominare l'emozione, per mostrare
sicurezza. Sapevo che quando si passa dal virtuale
al reale la delusione può essere profonda,
come in chat ripetevano tutti e come avevano scritto
anche molti giornali. E questo, in fondo, era un po'
quello che mi aspettavo. Ma volevo, per quanto mi
riguardava, dare il meglio di me, preferendo, naturalmente,
essere io deluso di lei, piuttosto che lei di me.
Non sono mai stato uno di quelli che, appena contattano
una donna in chat, non desiderano altro che incontrarla.
Ho sempre pensato che il mondo virtuale consenta fantasie,
sogni, abbellimenti che la realtà non può
in alcun modo possedere. Però con lei, con
Melba35, ormai chattavo da tre mesi. Ci eravamo detti
tutto di noi.
Io sapevo che lei aveva quarantasette anni, che lavorava
in una grande azienda, con incarichi anche importanti,
che era divorziata, che aveva un figlio e che viveva
da sola. Sapevo che amava la musica classica, la poesia,
la letteratura, il cinema, sapevo che leggeva una
decina di libri l'anno, soprattutto di autori di lingua
spagnola. Sapevo che amava lo sport, in particolare
l'ippica, che frequentava la palestra per mantenersi
in forma. Sapevo che era intelligente, sincera, sensibile
e passionale. Sapevo, perché ci eravamo descritti
reciprocamente, che era alta un metro e settantaquattro,
pesava sessanta chili, misurava 86-60-90. Occhi verdi,
capelli rosso rame, carnagione chiara. Una gran bella
donna, avevo sempre pensato! Ah, dimenticavo, sapevo
che il suo nome reale era Francesca.
Lei di me sapeva che ero piuttosto vecchiotto (ho
65 anni!), che ero vedovo, che avevo una figlia grande
e che vivevo da solo. Sapeva che ero ormai pensionato,
che soffrivo di solitudine. Sapeva che amavo il cinema,
il teatro, la poesia, sapeva che leggevo parecchi
libri, che non m'intendevo di musica, che ero tifoso
della Juventus, che ero molto pigro, che avevo un
grande hobby, gli scacchi. Sapeva che ero alto 1.80
e che pesavo 83 chili, che avevo i capelli bianchi
e, persino, che
non ero molto sicuro dei miei
ormoni!
Nei nostri lunghi colloqui notturni eravamo piano
piano passati dal semplice saluto con un "ciao",
al più affettuoso "un bacio", "un
bacio e una carezza", all'appassionato "ti
bacio dolcemente", fino ad arrivare ad effusioni
molto complesse da descrivere, tipo "ti stringo
forte, ti bacio sul collo e poi sulla bocca lungamente
mentre ti accarezzo il seno
ecc. ecc.",
o addirittura, mostruosamente contraddittorie, come
"Ti bacio sulla bocca mentre tu mi mordicchi
il lobo dell'orecchio destro"! Conoscevamo, un
po' per descrizione un po' per immaginazione, ogni
più piccolo particolare del nostro corpo.
Eravamo però ben coscienti che il nostro grande
amore virtuale non aveva e non poteva avere alcun
riscontro reale. Per questo eravamo d'accordo di non
incontrarci mai, per non correre il rischio di un'irreparabile
delusione. Per questo, forse esagerando un po', non
ci eravamo scambiati né l'indirizzo vero, né
una fotografia, né il numero di cellulare,
ma solo l'e-mail.
Poi, una sera, il grande annuncio.
"Giovedì sarò a Venezia per motivi
di lavoro. Devo incontrare un cliente e firmare alcune
carte. Un'ora al massimo d'impegno", vidi apparire
monitor.
Abito in un paesino vicino a Venezia, lei veniva dunque
nella mia città, potevo non incontrarla? Eppoi
se me l'aveva detto, voleva dire che aveva deciso
d'incontrarmi. Insomma non potevo sottrarmi alla sfida.
"Allora c'incontreremo!", digitai, mettendoci
la faccina ammiccante.
"Tranquillizza i tuoi ormoni - mi rispose - nel
pomeriggio devo riprendere il treno per ritornare
a Torino".
Nella mia situazione, non avevo certo bisogno di tranquillizzarli,
gli ormoni! Però la prospettiva dell'incontro
mi eccitava. "Se sarà una delusione, mi
dicevo, finirà tutto. Pazienza". Ormai
avevo troppa curiosità. Mancavano due giorni
all'appuntamento, avevo tutto il tempo per andare
dal barbiere, farmi sistemare i capelli, scorciare
le sopracciglia, togliere qualche pelo superfluo,
ed essere il più presentabile possibile. Volevo
anche comprarmi una camicia "giovanile"
(avrei telefonato a mia figlia per farmi consigliare).
La sera precedente l'incontro avevamo messo a punto
ogni cosa. Lei sarebbe partita da Torino alle 7.13
e sarebbe arrivata a Venezia alle 11.58. Il treno
di ritorno partiva alle 17.58. Avevamo a disposizione
sei ore in tutto, compreso l'impegno di lavoro. Io
dovevo essere alla stazione con dei fiori in mano
(questo particolare l'avevo voluto io che, oltre che
vecchio, sono anche all'antica). Ci saremmo chiamati
per nome e, dopo i saluti, lei sarebbe corsa all'appuntamento
in Campo S. Polo. Io l'avrei aspettata e poi saremmo
andati a pranzo in un ristorantino. Dopo il pranzo,
un giretto da Rialto in Piazza S. Marco, per le Mercerie,
poi tutto il Canal Grande in vaporetto, infine alla
stazione, un caffè... Tutto era dunque predisposto,
qualunque fosse stato il nostro impatto, era comunque
un programma piacevole.
Mentre aspettavo quel treno, con una dozzina di rose
rosse in mano, mi sentivo veramente ridicolo. Alla
mia età
La gente mi guardava con uno
strano sorrisino, non capivo se malizioso o compassionevole,
ed io mi calcavo la coppola in testa per nascondere
i miei capelli bianchi. Ero terrorizzato dall'idea
che mi vedesse qualcuno del mio paese. In quei momenti
maledicevo le chat, i computer, l'elettronica e la
mia debolezza che mi aveva impedito di respingere
quella che, di fatto, era stata una proposta d'incontro.
Poi mi dicevo "Ma che ci rimetto? E' un gioco,
vediamo come va a finire!", e riprendevo coraggio.
Mi piazzai dunque sul marciapiede dove inizia (e finisce)
il binario con la scritta "Torino", in posizione
strategica: tutti i passeggeri che scendevano dal
treno erano obbligati a passarmi davanti. Non potevamo
non incontrarci. Lei doveva indossare un lungo cappotto
nero, dei pantaloni scuri, berretto sciarpa e guanti
rossi. Io le avevo descritto il mio montone e la mia
coppola. Quando l'altoparlante annunciò l'intercity
da Torino mi sentii quasi mancare. Respirai a fondo
varie volte (riempiendomi i polmoni dell'aria
pura della stazione!), ma la tensione ormai era alle
stelle. Ero in una specie di catalessi quando il treno
si fermò e i passeggeri cominciarono a scendere,
e quelli della prima carrozza a passarmi davanti.
Alzai gli occhi e la vidi immediatamente. Alta, il
cappotto lungo, i capelli color rame, esattamente
come me li aveva descritti in chat. In qualche secondo
mi fu davanti. Le porsi le rose e annichilii. Era
di una bellezza straordinaria! Occhi verdazzurri,
che ti entravano nell'anima, viso dolcissimo, portamento
da modella. Mi parve giovanissima, altro che quarantasette
anni, ne dimostrava al massimo 35-40!
"Francesca - balbettai - sono Luigi".
Lei mi guardò sorpresa, ma, con un sorriso
di quelli che ti comprano, prese le rose, dicendomi:
"Grazie, Luigi. Lei è veramente gentile".
Nel passarle i fiori io, imbarazzatissimo ma memore
di tutte le volte che l'avevo fatto in chat, accennai
ad un goffo baciamano (e chi l'ha mai fatto realmente?).
"Mi dai del lei?", le dissi.
"Scusami, ma
".
"Eh sì - la interruppi - sono così
vecchio che ti metto soggezione, vero?".
Lei mi guardò sorridendo ambiguamente:
"Vecchio? Macchè...".
Tutto questo si era svolto in pochi secondi, mentre
i passeggeri continuavano a passare e quelli delle
ultime carrozze erano ancora lontani. Ripresi un po'
di coscienza e mi ricordai del nostro programma. La
presi per mano, pavoneggiandomi - ora - in mezzo ai
passanti, e le dissi:
"Andiamo a piedi, così arriviamo prima
al tuo appuntamento. Poi, ho già prenotato
in un ristorantino vicino a Rialto. Vorrei che arrivassimo
prima delle due".
Lei mi guardò con un largo sorriso, mostrando
dei denti bianchissimi, perfetti. C'incamminammo con
passo svelto sul Ponte degli Scalzi, lei con le rose
in braccio, io con la sua elegante borsa da viaggio
in mano. Secondo me c'era poco tempo, ma lei, rallentando
il passo improvvisamente, mi disse:
"Perché corriamo così? Andiamo
piano, Venezia mi piace
".
Rimasi un po' perplesso, ma era così bello
passeggiare accanto a lei! Intanto la nebbia, che
prima avvolgeva la città, si era diradata sfumando
appena i contorni dei palazzi, illuminati da un timido
sole invernale. Lei guardava con curiosità
i negozietti, le botteghe d'arte, le montagne di tramezzini
esposte nei bar, e rideva divertita alle mie parole.
(Io, in sostanza, le stavo raccontando tutto di noi,
tutte le nostre chiacchiere, le nostre discussioni,
i nostri rapporti virtuali). Quando arrivammo ai Frari,
lei propose di portare le rose in chiesa.
"Francesca, arriverai tardi all'appuntamento!",
esclamai.
Ma lei, avviandosi all'entrata della chiesa, rispose
con grande naturalezza:
"Scusami, se non te l'ho detto subito, ma l'appuntamento
è stato rinviato a domani. Me l'hanno comunicato
in treno, quand'ero ormai arrivata".
Rimasi di sasso! Lei era già sparita dietro
la porta della chiesa ed io ero ancora immobile in
mezzo alla calle, schivato dai passanti come un ingombro
inanimato, senza riuscire a comprendere fino in fondo
le implicazioni di quelle parole. Istintivamente corsi
in chiesa e la vidi nella navata centrale che ammirava
il Coro dei Frati, con una piccola guida in mano,
che evidentemente aveva preso all'entrata. Nella penombra
si avvicinò per leggermene qualche riga. Le
misi un braccio sulle spalle e la strinsi leggermente,
con cautela. Facemmo così il giro della chiesa
seguendo le indicazioni della guida e sostammo a lungo
davanti all'Assunta del Tiziano. In quei momenti sentii
la "comunione delle nostre anime", come
dicevamo in chat!
Quando uscimmo, l'aria ci parve calda e la luce forte
come d'estate. Camminavamo felici, tenendoci per mano
come due romantici liceali. Mi ero completamente dimenticato
dei miei capelli bianchi, dei miei ormoni incerti.
Attraversammo il variopinto mercato della frutta,
sostando davanti alle bancarelle più vivaci,
ridendo alle colorite espressioni dei fruttivendoli.
Sul Ponte di Rialto, vedendola commossa alla vista
del Canal Grande rilucente, le accarezzai il viso
e le sfiorai le labbra con un bacio, ricambiato. Era
veramente bella e passionale come in chat! Il mio
vecchio cuore batteva a cento all'ora per l'emozione.
"Dov'è il ristorantino?", chiese
ammiccante.
"E' qui", risposi.
Corremmo verso il ristorante (non sentivo più
i miei anni!). Entrammo e, quando si tolse il lungo
cappotto argenteo (argenteo, ma non doveva essere
nero?), notai che indossava un'elegante minigonna
grigia su calze scure autoreggenti. "Le donne
- pensai - sono proprio imprevedibili!". Le dissi
con tono ironico:
"Meno male che dovevi avere i pantaloni!".
"Ti dispiace?", domandò lei ironica
ed unì le gambe in modo che potessi ammirare
la loro perfezione.
"Nooo! Stai benissimo così!".
In ristorante c'erano solo due o tre coppie di anziani
tedeschi, paurosamente rossi di vino. Lo chef ci sistemò
proprio vicino alla vetrata, da dove vedevamo passare
le barche, i vaporetti, le gondole
Ordinammo
un pranzo a base di pesce: antipasti della casa, tagliolini
con le ostriche, grigliata di scampi, una bottiglia
di Cartizze
All'arrivo delle cape sante che ancora friggevano,
Francesca non poté trattenersi dall'esclamare:
"Che belle!".
Lo chef le sorrise e servì i gustosi molluschi,
la cui conchiglia richiama il logo della Shell. Intanto
lei, rivolta a me, ma con un tono di voce che non
poteva sfuggire ad uno chef così premuroso,
disse:
"Ci sarà in questa città un posto
dove dormire questa notte, vero?".
Deglutii di colpo la capa santa, caldissima, che avevo
appena messo in bocca, bruciandomi dolorosamente la
gola. Mi sentii avvampare, arrossendo più dei
tedeschi. Afferrai il bicchiere di Cartizze e lo trangugiai
d'un fiato. Adesso capivo quello che alla chiesa dei
Frari mi era rimasto oscuro (o non avevo osato pensare):
l'appuntamento era per il giorno dopo, quindi Francesca
si doveva fermare la notte! Sarà stato per
lo choc, sarà stato per la gola che bruciava,
fatto sta che non riuscivo più a parlare. Intervenne
lo chef:
"Se i signori vogliono una stanza per questa
notte, mi permetto di consigliare l'albergo Duse -
disse, ponendo un bigliettino sul tavolo - è
molto distinto".
Io ero ancora molto confuso, ma, con uno sforzo immane,
ripresi fiato e balbettai:
"Grazie
poi vedremo".
Però ebbi la sensazione che rimanesse ancora
qualcosa di poco chiaro, come in sospeso, nella mia
testa.
Francesca mostrava di apprezzare i piatti, ma non
era molto loquace (in chat mi ero fatta un'idea diversa,
credevo che fosse più ciarliera, più
spiritosa, ma pensai che forse era un po' imbarazzata
anche lei). Mi concentrai al massimo e mi venne solo
di parlarle, ancora una volta, dei nostri dialoghi
in chat. Lei annuiva divertita e guardava, attraverso
i vetri, le gondole che passavano sul Canal Grande.
Io praticamente sussurravo perché lo chef gironzolava
sempre lì intorno (eravamo rimasti ormai gli
unici clienti). Lei, proprio nel momento in cui lo
chef era al nostro tavolo, esclamò:
"Deve essere bello andare in gondola!".
Ammutolii, pensando a quello che sarebbe costato.
Il ruffiano, scusate, lo chef intervenne ancora una
volta:
"Se i signori vogliono fare un giretto in gondola,
possono affidarsi al mio amico, el Moreto, che farà
un buon prezzo!".
Pagai con la carta di credito (avevo del contante
in tasca, ma con una giornata così piena di
sorprese, pensai bene di tenermelo per
ogni
evenienza).
Appena usciti, mentre notavo che Francesca aveva approfittato
della toilette del ristorante per alleggerire il trucco
(in chat mi aveva sempre detto che usava poco trucco),
un gondoliere richiamò la nostra attenzione:
"Prego signori, so' el Moreto, prego
"
e ci fece cenno di salire.
Lei, tranquilla, gli diede la mano e salì.
La seguii imbambolato. Ci sedemmo sui sedili di velluto
e lei si strinse a me. Il gondoliere ci chiese dove
volevamo andare, ma io non ero in grado di rispondere,
avevo il cuore in gola sentendo il corpo di lei così
vicino al mio.
"Conosco un giro molto romantico, non è
lungo. Passiamo anche dal vostro albergo, così
deponete i bagagli
".
Il nostro albergo? I bagagli? Noi non avevamo prenotato
alcun albergo e i bagagli erano
una borsa! Ma
io ormai "ero partito". C'era un sole tiepido
e chiaro, il cielo era un pastello azzurro, stavo
stringendo e accarezzando tutto quel ben di dio che
avevo al mio fianco, potevo far caso a quel che diceva
il gondoliere? Uscimmo dal Canal Grande ed entrammo
in un rio ombreggiato. Era un po' più fresco
e il nostro abbraccio si fece strettissimo. Svoltammo
a destra e riapparve il sole, passammo sotto un ponte
e fu l'occasione per il primo bacio appassionato.
Meglio, molto meglio di come me l'ero immaginato in
chat!
Non so dove ci portò il gondoliere, fatto sta
che rientrammo in Canal Grande e ci fermammo davanti
all'albergo Duse (coincidenza!). Venne un ragazzo
in elegante livrea a prendere i bagagli:
"Se i signori vogliono vedere la camera
".
"Vai tu, Luigi, io ti aspetto qui al sole. Controlla
che ci diano una buona camera".
Quando pronunciò quel "ci" stavo
facendo il passo per scendere dalla gondola. Ebbi
come un mancamento, inciampai e per poco non caddi
in acqua! "Ci - pensai, rialzandomi con qualche
ammaccatura, aiutato dal ragazzo - ci
dunque
camera per due!". Ecco la cosa rimasta in sospeso
al ristorante!
La stanza era una bomboniera, stile settecento, letto
con baldacchino, parati in raso, finestra trifora
sul Canal Grande. Ritornai alla gondola, eccitatissimo.
Lei si rannicchiò sul velluto vicino a me.
Dopo un po', liquidammo (liquidai) el Moreto e ci
tuffammo nelle calli.
Entrammo in Piazza S. Marco dall'ala napoleonica e
vidi gli occhi di Francesca come sgranarsi di fronte
a quello spettacolo: le procuratie vecchie alla nostra
sinistra, quelle nuove alla nostra destra e in fondo
la basilica di S. Marco ed il Campanile. Attorniati
dai colombi, avanzammo verso il centro di quello che
fu detto "il salotto d'Europa". Il sole
era nascosto dai palazzi, ma illuminava ancora i mosaici
della facciata della basilica, stagliando i profili
delle arcate e delle cuspidi. Indicai a Francesca
i Mori sulla Torre dell'Orologio facendole notare
che erano prossimi a battere le ore.
"Bene, disse lei, allora andiamo a bere un caffè
e poi li guardiamo".
Eravamo proprio davanti al Caffè Florian, il
bar più caro di tutta Venezia. "Pazienza
- pensai - ormai sono in ballo e devo ballare. E poi,
per una notte con questa qui, sono disposto a mangiarmi
la pensione di un anno! In futuro non sarà
sempre così
". In bar ci sedemmo
un attimo, bevemmo i caffè, pagai ed uscimmo
in tempo per vedere i Mori ripetere i loro secolari
gesti meccanici. Girammo ai piedi del Campanile, le
mostrai la loggia del Sansovino e il Palazzo Ducale,
ancora illuminato dall'ultimo tenue sole, che ne esaltava
le policromie. Francesca era veramente estasiata (mi
aveva detto in chat che amava l'arte e le cose belle!).
Finalmente salimmo sul Ponte della Paglia, le indicai
il Ponte dei Sospiri e, spiegandole che così
vuole la tradizione, la baciai con vero trasporto,
incurante dei passanti che ci sfioravano. Camminammo
un po' in riva degli Schiavoni e, quando il sole era
ormai tramontato, ci inoltrammo in calle S. Zaccaria,
passammo davanti alla chiesa omonima e ritornammo
in Piazza S. Marco, proseguendo quindi nelle Mercerie.
I negozi erano più luccicanti che mai. Francesca
mi tirava da una parte e dall'altra, molto eccitata
alla vista di tutti quei vestiti, quei pezzi d'antiquariato,
quei gioielli
Fu proprio davanti ad una piccola
gioielleria, quando ormai eravamo arrivati quasi a
Rialto, che lei si fermò decisa e disse, con
una dolcezza che avrebbe conquistato Conan il barbaro:
"Mi piacerebbe una cosina così
".
La "cosina così" era una collanina
a filo, in oro bianco, con un pendaglio a falce di
luna tempestata di brillantini. Effettivamente era
il pezzo meno caro che c'era in quella vetrina, ma
costava metà della mia pensione! Tuttavia non
potei esimermi dal dirle:
"Se vuoi, e se accettano assegni, è tua!".
"Grazie
", gridò, dandomi un
bacetto e - dico la verità - spingendomi in
negozio.
Quando uscimmo ero un po' alleggerito, ma felice della
sua felicità, come avviene quando si ama veramente
(ce lo eravamo detti tante volte in chat!).
"Senti Francesca, comincio ad essere un po' stanco,
alla mia età
Mangiamo un boccone, magari
una pizza, e poi piano piano andiamo in albergo
".
Temevo che mi proponesse una cena in qualche altro
ristorante (io che di sera sono abituato a mangiare
un po' di verdura e basta), o che volesse passare
la serata in qualche locale. Invece lei rispose convinta:
"Hai ragione, sono già le nove e domani
io devo lavorare".
Ci sedemmo in un piccola pizzeria vicino a Campo S.
Giacomo, a Rialto. Le dissi le migliori parole d'amore
che conosco e le chiesi come mai lei, molto espansiva
in chat, era così riservata nella realtà.
Mi rispose che è facile parlare di fronte ad
un computer, mentre con una persona reale è
molto più arduo, ed aggiunse un po' titubante:
"E poi se ti dicessi cose
diverse da quelle
che ti ho detto in chat, potresti dubitare
che,
dietro lo schermo del tuo computer, fino a ieri
ci fossi io!"
Al che replicai con assoluta sicurezza:
"Eh no, cara Francesca, i nostri cuori battono
all'unisono e non possono sbagliare. Tu sei Melba35
ed io sono Jamesbad, non ci sono dubbi. Tu sei esattamente
come ti avevo immaginato, anzi un po' meglio. Ma,
dimmi piuttosto, io come sono per te?".
Lei rise, facendomi il verso:
"Tu sei esattamente come ti avevo immaginato,
anzi un po' meglio".
Quando uscimmo cominciava a calare su Venezia una
fredda nebbiolina. Lei mi prese il braccio dicendomi
con tenerezza:
"Io non so dove sia l'albergo, mi affido a te!"
Ecco la Francesca della chat, pensai dentro di me
con gioia. L'albergo non era proprio vicino, camminammo
un bel po' per calli a volte larghe e illuminate a
volte strette e buie, scambiandoci allegramente qualche
piccolo bacio.
Arrivammo all'albergo Duse che erano le undici. Salimmo
in camera e, dopo un "Che bella!", lei si
infilò nella doccia. Io mi sdraiai sul letto
cercando di fare il punto della situazione, ma non
ci riuscii. Pensavo a quante volte ci eravamo detti
in chat che noi, nel giorno del nostro eventuale incontro,
non saremmo mai riusciti ad avere un rapporto sessuale.
Per quelle cose lì, dicevamo, ci vuole un po'
di tempo, bisogna fare un po' di confidenza, bisogna
aspettare che l'amore virtuale diventi reale
Che sciocchi, pensavo ora. In realtà a me non
era mai capitato di fare all'amore con un donna appena
conosciuta, e ho sempre creduto che non ne sarei stato
capace. "Sì, mi dicevo, ma questa la conosco
ormai da tre mesi. So tutto di lei. E' la conoscenza
spirituale che conta. Il corpo? Basta dargli un'occhiata
per conoscerlo!". Miracolo dell'elettronica:
grazie alle chat ero pronto a fare una cosa che fino
allora avevo giudicato per me impossibile. Lei uscì
dal bagno stringendosi ai fianchi un piccolo asciugamano.
Era bella come una statua del Canova! Mentre si girava
per chiudere la porta, l'asciugamano le scivolò
un po', lo riprese subito e se lo strinse, ma non
prima ch'io potessi vedere
una piccola "ombra"
nerissima
Lei parve imbronciarsi, ma io, strizzandole
l'occhio, le dissi:
"Mi avevi detto che eri bionda, eh, anzi quasi
rossa
".
"Ti dispiace?".
"Nooo", le risposi sfiorandole il seno con
un bacio e avviandomi al bagno.
Mentre ero sotto la doccia mi ricordai che non avevo
niente da mettermi per la notte, ma poi - anche se
con un po' apprensione - mi venne in mente che, come
si vede nei telefilm, in occasioni del genere si dorme
nudi.
Quando uscii, lei era già a letto, la luce
era ancora accesa, ma per fortuna io ero tutto dentro
un accappatoio (temevo il suo giudizio sul mio corpo
non più di ventenne!). Mi avvicinai a lei e
guardai il suo viso: senza trucco era ancora più
bello. E poi aveva un'espressione negli occhi che
sembrava dire:
"Amami
".
Non lo disse, ma io non potei trattenermi.
"Francesca - le dissi - ti amo immensamente.
Mi ero innamorato della tua anima ed ora lo sono anche
del tuo corpo. Ti amerò per sempre, Francesca".
"Non ti togli l'accappatoio?", disse lei.
Era mezzanotte passata, appena dodici ore da quando
ci eravamo incontrati, spensi la luce (ma rimase lo
stesso una leggera luminosità soffusa), mi
tolsi l'accappatoio e mi infilai sotto le lenzuola.
Mi aveva sempre detto, in chat, che era un po'
ossuta, ma a me parve immergermi in un mare di morbidezza
e non capii più niente. Per dimostrarmi un
grande amatore, le sussurrai:
"Ti ricordi? In chat cominciavo dall'alluce
".
Lei fece un piccolo movimento, non so quale, e mi
trovai con il suo alluce tra le labbra! Sotto la sua
guida, risalii piano piano, sostai, divagai
Francesca mi precedeva in ogni mio pensiero, in ogni
mio desiderio. Mi condusse per sentieri fino allora
per me inesplorati, che non confesserei nemmeno sotto
tortura. Ad un certo punto capì (intuizione
femminile?) che - nonostante il mio ardore - avevo
bisogno di essere
incoraggiato, e fu dolcissima.
Era sicuramente l'amore che la ispirava, perché
in chat mi aveva sempre detto di non essere molto
esperta. Invece, mi fu maestra competente e comprensiva.
Io ero l'archetto, lei era il violino e la violinista
contemporaneamente. Quella notte, in quella camera
in stile settecento veneziano, su quel letto a baldacchino,
suonammo Le quattro stagioni di Vivaldi!. Oddio quattro,
forse tre
due
una di sicuro, una sola
stagione, forse, ma lunga come un inverno boreale
e infuocata come un'estate equatoriale! In realtà
io non ricordo più niente, perché passai
dal piacere al sonno quasi senza accorgermene.
Quando mi svegliai, guardai l'orologio (c'era ancora
la luce soffusa): erano le nove. "Accidenti,
pensai, dobbiamo alzarci. A che ora avrà l'appuntamento
Francesca?". Francesca dormiva ancora, solo parzialmente
coperta dal lenzuolo, il corpo abbandonato, il viso
sereno, il respiro leggerissimo. Se Giorgione l'avesse
vista avrebbe sicuramente dipinto una seconda Venere
dormiente! Tentai di alzarmi, ma ero tutto indolenzito.
Per un sedentario assoluto come me, le ultime venti
ore (di cui solo cinque, forse, di sonno) erano state
devastanti. Mi mossi lentamente, trattenendo i lamenti,
e piano piano entrai in bagno. Dopo una doccia molto
calda, mi parve di stare un po' meglio. Quando uscii,
sentii Francesca che dal letto mi salutava. Mi sedetti
accanto a lei e la baciai dolcemente, dicendole:
"Buon giorno, amore".
Lei si avvicinò, incominciò ad accarezzarmi
le spalle togliendomi a poco a poco il solito accappatoio.
Mi sentii morire. Questa volta non ce l'avrei fatta.
Che figura! Ma lei fu molto
discreta. Capii
allora che, con una donna così, le vie del
piacere, come quelle della Provvidenza, sono infinite.
Ed ebbi anche i suoi complimenti. Mi disse:
"Grazie, Luigi, sei stato un tesoro!".
"Meglio che in chat?", chiesi ridendo soddisfatto.
"Sì, meglio, molto meglio, quella è
roba virtuale!".
Mi sentii ringalluzzito (moralmente!) dopo quelle
parole e pensai che quando di una donna si conquista
l'anima si conquista tutto. Ed io l'anima di Francesca
l'avevo conquistata in chat! A colazione Francesca
mangiò di tutto, io ero troppo stanco e mandai
giù un caffè doppio con molto zucchero,
nella speranza di ritrovare un po' d'energie. Pagai
il conto dell'albergo senza batter ciglio. Dopo quella
notte, non potevo mica fare lo spilorcio
Quando uscimmo Venezia era avvolta nella solita nebbia.
"Ed ora, disse lei, tu che conosci questa città,
conducimi in Campo SS. Giovanni e Paolo".
"Ma tu, le ricordai, devi andare in Campo S.
Polo!".
"Ah, sì - disse lei con nonchalance -
ieri! Ma oggi quel cliente mi aspetta in Campo SS.
Giovanni e Paolo".
Presi la borsa e mi avviai, camminando con fatica
per i dolori ai piedi. Lei s'attaccò affettuosamente
al mio braccio. Osservai che la sua spalla era all'altezza
della mia. Come mai non me n'ero accorto prima?
"Francesca, le chiesi, quanto sei alta?".
"Uno e settantasette, ma con un po' di tacchi
qualche centimetro in più. E tu?".
"Io, te l'ho detto in chat, sono uno e ottanta.
Ma tu mi avevi detto uno e settantaquattro".
"Sai, mi vergogno un po' della mia altezza
"
disse lei trascinandomi verso una vetrina che esponeva
vetri di Murano.
Fu attirata dalle caratteristiche murrine, con i loro
straordinari colori cangianti.
"Te ne regalo una, se vuoi ", le dissi,
conoscendo il loro prezzo accessibile.
"Ed io ne regalo una a te!", rispose lei.
"Sarà il nostro pegno d'amore", le
dissi guardandola rapito.
Infine arrivammo in Campo SS. Giovanni e Paolo. Cercammo
il numero civico e, quando lo trovammo, fui molto
sorpreso.
"E' uno studio d'estetista, le dissi, devi andare
qui?".
"Sì, rispose lei, il mio cliente ha una
catena di questi studi
".
"Posso aspettarti se vuoi, poi ti accompagno
alla stazione".
"No, te l'ho già detto che poi mi accompagna
lui, col motoscafo privato. Non posso dirgli di no!".
Me l'aveva già detto? Forse sì, ma non
ricordavo.
"Francesca, le dissi, stasera ci sentiamo in
chat. A che ora arrivi a Torino?".
"Ma non so
".
"Come non sai, alle undici sei a Torino, a mezzanotte
possiamo almeno salutarci!".
"Sì, hai ragione. D'accordo".
Suonò, la porta si aprì, e lei, dopo
un ultimo fuggevole bacio, entrò. Quando il
vecchio portoncino si richiuse, mi assalì tutta
la stanchezza di quelle ventiquattro ore di fuoco
e... dei miei anni. Andai al vaporetto che le vesciche
ai piedi mi bruciavano da morire. All'imbarcadero
dovetti sedermi perché il mio vecchio dolore
sciatico si era improvvisamente acuito. Come Dio volle
arrivai al Tronchetto e finalmente fui nella mia comoda
macchina col sedile anatomico.
Mentre tornavo al mio paese, "stanco ma felice",
come scrivono nei temi i bambini delle elementari,
progettavo già il mio futuro accanto a Francesca,
la donna che avevo avuto la fortuna di conoscere in
chat. La mia vita presto sarebbe cambiata, mi sarei
trasferito a Torino
Pensavo alle stupidaggini
che dice certa gente, quando mette in guardia da questi
incontri. A me era andata nel migliore dei modi, ma
il merito era anche mio. Francesca era molto diversa
da come me l'ero immaginata, ma conoscendone io profondamente
l'anima, avevo potuto riconoscerla subito alla stazione,
anche se si era vestita in modo differente da come
avevamo concordato. E poi era anche più alta
e, ma questo non potevo vederlo alla stazione,
non
era bionda! Però, mi ripetevo, quando si conosce
l'anima di una persona tutti questi particolari non
contano. Decisi che appena giunto a casa le avrei
mandato una e-mail per dirle tutto il mio amore e
prometterle che sarei andato a Torino al più
presto.
Era l'una e mezza quando arrivai a casa. Non avevo
fame. Presi una birra e, stremato, mi accasciai sulla
poltroncina davanti al mio computer. Lo accesi e avviai
Outlook. C'era "posta in arrivo" nella casella
di Francesca
di Francesca! Posta da Francesca?
Come può essere...
Cliccai e lessi: "Caro Luigi, dov'eri stamattina
mentre io ti aspettavo alla stazione di Venezia? Quando
sono giunta all'inizio del binario, ho atteso sul
marciapiede più di mezz'ora, col mio berretto
rosso e la mia sciarpa rossa, ma tu non sei arrivato
"!
Basito ed incredulo, controllai la data e l'ora di
quel messaggio. Era stato spedito alle 0.15 di giovedì
notte, la "mia" grande notte appena trascorsa!
Sobbalzai sulla sedia, ma un lancinante "colpo
della strega" mi bloccò a mezz'aria, mentre
mi zompava nella testa l'atroce domanda: "Se
alle 0.15 della scorsa notte Francesca era già
tornata a Torino e stava scrivendo quel messaggio,
di chi era l'alluce che io - alla stessa ora, a Venezia,
su un letto a baldacchino, in una stanza parata in
raso con trifora sul Canal Grande - stavo succhiando?".
(Riccardo Badiale)